Nel fiore di un risveglio
estremo Nord
defluire lento
del ghiaccio
implosione
Es
Un tuffo senza fiato
senza fine lento
nei giorni fermi
di grigioinverno ai vetri.
Errore in atto:
dimenticare il tempo.
A lungo dimenticare
e quindi uscire a rivedere stelle
baciate da sonde in equinozi millenari,
fissare all’oscurità
i colori delle comete.
Nella migliore delle ipotesi
incontrare una perla opaca,
un’amnesia del cielo
e attraversare il suo segreto
mentre continua a cadere,
sposa del vento,
verso il fondo dell’abbraccio,
in linea retta all’infinito
sentire poi una stanchezza
e non ricordare...
linee bianche all’orizzonte,
dove il cerchio non si chiude
e l’amore promesso
è nelle parole dimenticate
nella corsa alla rovescia,
lontano milioni di anni luce,
verso la stella polare
sensori all’infrarosso penetrano
l’orizzonte celeste.
All’inverso il folle volo:
trascorsi rimossi in cascata,
piccoli asterismi, vuoti.
Costellazioni consumate in naufragi
in questo mare di vivere.
Al primo sguardo trasparente
la sintassi accelera,
non rassicura il respiro.
Liberi fonemi rimbalzano
come un giro di riflessi:
vettori pazzi di nostalgia
e rumore.
Segnali disturbati si affollano.
Fino a che tutto imploderà in un punto:
l’esatto contrario.
Nuvole uccidono il chiaro di luna
con elementi di fissione freschi.
Traslucide nell’aria
aprono frontiere come ferite.
Radionuclidi ricadono a pioggia:
hanno nomi bellissimi
definiti da un numero.
Bisogna perdonare qualche sbaglio
all’uomo che tenta di volare
fuori dall’atmosfera,
dove la polvere non è
un pericolo reale.
Non esistono antidoti
all’energia pura,
un elisir.
Tutto sembra normale.
Superfluo non esporsi
e non indugiare.
Il deserto avanza:
bagnare le margherite
nell’isola al davanzale.
Non so immaginare varianti possibili
al modo in cui sono andate le cose,
non necessariamente
come sarebbero state
diverse in un altrove,
in un romanzo o futuro.
Come in un acquario
le parole chiare
me le immagino impronunciabili
alghe marine viola.
Attraversa questo paesaggio
il mio sogno di un posto
sepolto in cui arrendersi
a uno stato di attenzione sospesa.
La curva del tempo
non guarisce il vissuto
fino al punto in cui forse
rivelata in altre parole
la verità appanna lo specchio
appena in un fiato
in questo gioco insensato,
bagnata dall’acqua d’incendi
profondissimi.
Morire… e risvegliarsi in un ricordo
altrove, in altre primavere
persi i tuoi vent’anni
senza lacrime in cui specchiarti
o annegare.
Vuoti augurali al solstizio:
il sole nel primo punto del cancro
fermo sopra l’equatore celeste
freddo come una vocale.
Temporali meridiani a blandire
ecolalie, piccoli assedi
di mosche lucenti pupille
dilatate nel dormiveglia,
ragionevole finora
come un male minore.
E mentre là fuori resto all’ombra
non so cosa pensare.
Ricordo solo la deriva
di rivolte immaginarie.
Non rispondere più:
la pazienza è finita.
Il non senso più forte
di altre domande.
Bisognerebbe aver la forza
di attendere: raccogliere in sé
per tutta la vita e solo alla fine...
Esiliato all’epica domestica
l’erratico ineroe passeggia.
Traduce solitudini
e capogiri:
piccoli suoni, silenzi.
A volte incontri l’aria di vetro
e lasci un segno grigiopiuma
che non metterò tra foglio e foglio.
Ali ferme ai vetri:
voli finiti
in notturni erbari ai muri
o fuochi.
Un breve sogno:
tra una siepe e il mare
un infinito viluppo d’alghe.
Percentuali vissute con l’ansia
che qualcosa stia per accadere.
Ma in ciò che resta affondano i poeti
lo sguardo fisso del giorno dopo
l’oro dei sogni
l’acqua subito fonda.
Nevralgie equinoziali riportano
il cuore nei denti.
Stanchissimi replicanti,
pochi pensieri aspettano
che la pioggia finisca.
Confusione temporale
fuori stagione, una frase
ha sbagliato senso.
Poi calma nei riflessi
sull’asfalto lucido
come il fiore di un risveglio.
Resta solo questo
grado insensato di entropia.
La notte anche finisce.